Ricorso  della  Regione  Toscana,  in  persona del presidente pro
tempore,  autorizzato  con deliberazione della giunta regionale n. 97
del 20 febbraio 2006, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente  atto,  dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo  studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale  n. 43;  contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro
tempore   per   la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art.  1,  commi  24, 26, 198, 202, 280, 281, 286, 287, 291, 322,
366,  369, 483, 486, 491, 597, 598, 599 e 600 della legge 29 dicembre
2005,  n. 266  recante  «Disposizioni  per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge finanziaria 2006)», per
violazione degli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost.

    Nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005, supplemento
ordinario e' stata pubblicata la legge finanziaria per l'anno 2006.
    Le  impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali
per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1)   Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  24  per
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
    La norma dispone che, in attuazione dei principi di coordinamento
della  finanza  pubblica,  ai fini della tutela dell'unita' economica
della  Repubblica  ed in particolare come principio di equilibrio tra
lo  stock  patrimoniale  ed  i flussi dei trasferimenti erariali, nei
confronti  degli  enti  territoriali  soggetti al patto di stabilita'
interno,  i  trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono
ridotti  in  misura  pari  alla differenza tra la spesa sostenuta nel
2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta
nel  precedente  quinquennio  per  la stessa finalita'. Nei confronti
delle  regioni  viene  operata un'analoga riduzione sui trasferimenti
statali a qualsiasi titolo spettanti.
    La   norma   tende  a  contenere  nel  2006  la  spesa  derivante
dall'acquisto  di immobili da parte delle regioni (e piu' in generale
di  tutti  gli enti territoriali), con l'eccezione prevista dal comma
25,  per  l'acquisto  di  immobili  da  destinare a sede di ospedali,
ospizi, scuole, asili.
    La disposizione viola gli artt. 117 e 119 Cost.
    Si   riduce   infatti   l'ammontare  dei  trasferimenti  erariali
spettanti  a  regioni  ed  enti locali in misura che viene rapportata
alla spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto di beni immobili.
    Cosi' si incide in primo luogo sull'autonomia organizzativa delle
regioni  ed  enti  locali, perche' i beni immobili vengono acquistati
per  l'esercizio  di  attivita'  istituzionali  ovvero  per  esigenze
connesse  all'esercizio  di funzioni proprie: per evitare la drastica
riduzione  prevista  dalla  norma  non  rimane altro che rinunciare a
detti  acquisti  e,  quindi,  a  sedi  necessarie per l'esercizio dei
compiti istituzionali.
    Si    ha   quindi   una   pesante   interferenza   sull'autonomia
organizzativa garantita dall'art. 117 Cost.
    Inoltre la misura e' palesemente irrazionale, perche' colpisce la
spesa fatta nel 2006; tale spesa tuttavia, nella prevalenza dei casi,
si  riferisce  ad  acquisti gia' deliberati negli anni pregressi, che
quindi non possono essere contenuti.
    Cosi'  ad  esempio l'Amministrazione ricorrente ha deliberato nel
2005  l'acquisto  di  immobili per la sede dei propri uffici (in modo
del  tutto conveniente perche' sono stati acquistati gli immobili che
erano in precedenza in locazione, ponendo cosi' fine al pagamento del
canone  di  affitto)  ed il pagamento del corrispettivo va effettuato
nel 2006.
    Bloccare   la   spesa  nel  2006  significherebbe  incorrere  nel
pagamento  di  penali;  d'altra parte l'obbligazione e' stata assunta
quando  la  disposizione  ora  impugnata  non  era in vigore. Da cio'
consegue   che  si  deve  subire  una  rilevante  penalizzazione  dei
trasferimenti  erariali  a  fronte  di una corretta programmazione ed
attuazione  degli  acquisti  immobiliari  necessari per il patrimonio
regionale.
    Tale    irrazionalita'    determina    una   incisiva   invadenza
dell'autonomia  patrimoniale  della  regione  e degli enti locali, in
violazione dell'art. 119, ultimo comma Cost.
    L'impugnata  disposizione  contrasta ulteriormente con l'art. 119
Cost.  perche'  determina  il  blocco  di  un  fondamentale canale di
finanziamento delle competenze regionali e degli enti locali.
    Poiche'  il bilancio delle suddette Amministrazioni deve chiudere
in   pareggio,   la   riduzione  di  risorse  finanziarie  che  viene
determinata  dalla disposizione impugnata e' destinata ad incidere su
una   contrazione   delle   politiche   che   si  realizzano  tramite
l'allocazione  delle  risorse  libere.  Percio'  la  norma  viola  il
principio   dell'autosufficienza  finanziaria  sancito  dall'art. 119
Cost.  e  non consente l'ordinario esercizio delle competenze proprie
del sistema delle autonomie.
    La   compressione  delle  risorse  finanziarie  conseguente  alla
previsione  della  norma  impugnata  discende ulteriormente anche dal
fatto che, come ha chiarito la Corte costituzionale, l'attuazione del
rinnovato  disegno costituzionale tradottosi nel nuovo art. 119 Cost.
richiede  l'intervento  del  legislatore  statale,  posto che «non e'
ammissibile in materia tributaria, una piena esplicazione di potesta'
regionali  autonome  in  carenza  della  fondamentale legislazione di
coordinamento    dettata    dal   Parlamento   nazionale»   (sentenza
n. 37/2004).
    Quindi  alle  regioni  non  e' consentito, in assenza della legge
statale  di  coordinamento,  ne'  prevedere  tributi  regionali,  ne'
legiferare  sui  tributi  esistenti  gia'  istituiti e regolati dalla
legge  statale;  d'altra  parte la legge statale di coordinamento del
sistema  tributario  e'  ben  lontana  dall'essere  emanata.  In tale
contesto  caratterizzato  dunque  dalla  permanenza  «di  una finanza
regionale  e  locale  ancora  in  non  piccola  parte derivata, cioe'
dipendente dal bilancio statale» (sentenza n. 37/2004), e' essenziale
che  sia almeno garantito il finanziamento delle autonomie secondo le
regole   della   legislazione   statale  emanata  nella  vigenza  del
precedente  Titolo  V,  perche' quelle regole rappresentano il minimo
indispensabile   per   il   funzionamento  regionale.  Prevedere  una
riduzione  dei  trasferimenti  erariali senza alcuna programmazione e
senza alcun accordo con le Regioni significa comprimere indebitamente
l'autonomia regionale e degli enti locali.
    Questo  e'  confermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale  la
quale, nell'evidenziare l'assenza nell'art. 119 Cost. di un'efficacia
precettiva  immediata  per  quanto  attiene  alla possibilita' per le
Regioni  di  istituire  tributi propri, ha comunque fissato un limite
agli   interventi   del   legislatore  statale;  infatti  nella  fase
transitoria  (e, ovviamente, a fortiori, per gli interventi normativi
successivi)   «vale  (...)  il  limite  discendente  dal  divieto  di
procedere  in  senso  inverso  a quanto oggi prescritto dall'art. 119
della  Costituzione,  e  cosi'  di  sopprimere  semplicemente,  senza
sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia gia' riconosciuti dalle leggi
statali  in  vigore alle regioni e agli enti locali, o di procedere a
configurare  un  sistema  finanziario  complessivo  che contraddica i
principi del medesimo art. 119» (sentenza n. 37/2004 citata).
    E'  dunque posto il principio del divieto di interventi normativi
dello Stato peggiorativi dell'assetto delle relazioni finanziarie fra
i diversi livelli di governo attualmente in essere e non in linea con
la  logica  della  tendenziale  indipendenza  finanziaria  degli enti
locali sottesa al novellato art. 119 della Costituzione.
    L'impugnata   disposizione,  invece,  contravviene  tale  divieto
perche'  prevede  una  irrazionale  ed  ingiustificata  riduzione dei
trasferimenti  erariali, cosi' riducendo le entrate regionali e degli
enti  locali;  d'altra  parte  la  medesima  norma non puo' ritenersi
legittima  in  nome  del coordinamento della finanza pubblica e della
richiamata unita' economica della Repubblica. Ai sensi dell'art. 117,
terzo  comma  e  119  Cost.,  infatti,  le  suddette  finalita' vanno
assicurate  dallo  Stato  con  la  predeterminazione dei principi del
coordinamento  finanziario  e  tributario.  La norma impugnata non e'
qualificabile come principio di coordinamento della finanza pubblica,
perche' non possiede, dei principi, la generalita', la struttura e la
funzione.  Infatti  i  principi vanno colti ad un livello di maggiore
astrattezza  rispetto  alla  regola positivamente stabilita (sentenza
n. 65/2001);   l'articolo  contestato  pone  invece  disposizioni  di
dettaglio, autoapplicative, incidenti sulla peraltro esigua autonomia
finanziaria regionale e degli enti locali.
    Tutto cio' determina la illegittimita' costituzionale denunciata.
    2)   Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  26  per
violazione  degli  artt. 114,  117,  118 e 119 Cost. - Violazione del
principio della leale collaborazione.
    Il  comma  26  prevede,  ai fini del monitoraggio degli obiettivi
strutturali  di manovra concordati con l'Unione europea nel quadro di
stabilita'  e  crescita,  l'obbligo  per le Amministrazioni di cui ai
commi  23  e  24  (Regioni  ed  enti  locali  compresi) di inviare al
Ministro  dell'economia  e  finanze  -  Dipartimento della ragioneria
generale  dello  Stato,  una comunicazione contenente le informazioni
trimestrali  cumulate  degli acquisti e delle vendite di immobili per
esigenze di attivita' istituzionali o finalita' abitative.
    Tale obbligo di per se' non sarebbe lesivo, perche' finalizzato a
meri scambi informativi.
    La  norma prosegue pero' stabilendo che la suddetta comunicazione
e'  inviata anche all'Agenzia del territorio (incardinata nell'ambito
dell'Amministrazione   statale)   che   procede  a  «verifiche  sulla
congruita'   dei  valori  degli  immobili  acquisiti  segnalando  gli
scostamenti   rilevanti  agli  organi  competenti  per  le  eventuali
responsabilita».
    La  previsione,  come  gia'  evidenziato,  si  applica anche alle
regioni  e  agli  enti  locali, ed introduce un controllo di merito a
posteriori  sulla  congruita'  del valore di acquisto degli immobili,
con  denuncia  ai  fini del giudizio di responsabilita' ove l'Agenzia
del territorio ritenga il valore non «congruo». Tale previsione e' in
contrasto con gli artt. 114,117, 118 Cost.
    L'art. 114  Cost.  prevede  infatti  una  equiordinazione  tra lo
Stato,  le  regioni  e  gli  enti  locali;  la  riforma  del Titolo V
attribuisce  quindi una pari dignita' costituzionale a tutti gli enti
che  costituiscono la Repubblica ed ha abolito i vari controlli prima
previsti  dagli artt. 125 e 130 Cost.: non appare pertanto conforme a
detto  sistema  basato  sulla equiordinazione degli enti il controllo
fatto  da  un  organismo  statale  con  finalita'  di attivazione del
giudizio di responsabilita'.
    Gli artt. 117 e 118 Cost., d'altra parte, non prevedono un titolo
che  legittimi  lo Stato a dettare norme come quella in esame che non
disciplina  uno  scambio  di  informazioni,  magari  preventivo,  per
migliorare  l'azione delle pubbliche amministrazioni, ma introduce un
controllo volto a verificare il prezzo al quale sono stati acquistati
gli  immobili,  con denuncia all'autorita' competente per i ravvisati
scostamenti.
    Inoltre  la norma non indica i criteri in base ai quali l'Agenzia
del  territorio  debba effettuare detta verifica e quindi valutare la
sussistenza di eventuali scostamenti, con la conseguenza che non sono
a priori noti i parametri del giudizio.
La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili controlli che abbiano
ad  oggetto  le  attivita'  delle  amministrazioni  in riferimento ai
risultati  raggiunti,  tenuto conto delle procedure e dei mezzi usati
per  il loro raggiungimento, perche' il controllo sulla gestione come
delineato  dalla  legge  n. 20/1994,  non  assume  rilievo diretto in
ordine  alla responsabilita' dei funzionari e cio' in quanto «l'esito
del  controllo  ...  consta di relazioni, almeno annuali, che vengono
inviate  tanto  agli  organi  che  assumono le decisioni politiche...
quanto  alle stesse amministrazioni interessate, al fine di agevolare
l'adozione  di  soluzioni  legislative  e  amministrative  dirette al
raggiungimento  dell'economicita' e dell'efficienza nell'azione degli
apparati  pubblici»  (sentenza  n. 29/1995).  Tale  sistema e' dunque
legittimo    perche'    e'    diretto   a   stimolare   nell'ente   e
nell'amministrazione  controllati  processi  di  «autocorrezione» sul
piano  dell'attivita'  gestionale  e  dell'organizzazione;  si tratta
quindi   di   un   sistema  basato  su  «un'attivita'  essenzialmente
collaborativa dalla quale non puo' derivare alcuna sanzione nel senso
proprio del termine» (cosi' sentenza n. 29/1995 citata).
    L'impugnata  disposizione,  invece,  non rispetta tali principi e
percio'  lede  l'autonomia  amministrativa della Regione e degli enti
locali, garantite dagli artt. 114, 117 e 118 Cost.
    La    norma    lede    anche   l'autonomia   patrimoniale   delle
Amministrazioni  regionali  e  locali, garantita dall'art. 119 ultimo
comma Cost., perche' non assumono alcun rilievo le esigenze che hanno
indotto le medesime ad incrementare il proprio patrimonio, necessario
per lo svolgimento delle attivita' istituzionali.
    La  disposizione, infine, e' contraria anche ad ogni fondamentale
principio  di  leale  collaborazione  tra Stato, Regioni ed autonomie
locali,   il  quale  imporrebbe,  in  ipotesi,  l'attivazione  di  un
contraddittorio   preliminare  volto  ad  evitare  che  il  danno  si
verifichi  e che vengano deliberati acquisti immobiliari ad un valore
non congruo.
    3)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 198 e comma
202 per violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
    La  norma  dispone che le regioni, gli enti locali e gli enti del
servizio  sanitario  concorrono alla realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese
di  personale  non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008
il  corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'l%; a tale
fine  si  considerano  anche  le  spese  per  il  personale  a  tempo
determinato,   con   contratto   di   collaborazione   coordinata   e
continuativa  o  che  presta  servizio con altre forme di rapporto di
lavoro flessibile o con convenzioni.
    La   norma,  quindi  introduce  un  vincolo  alla  spesa  per  il
personale,  vincolo  puntuale  e specifico che si aggiunge ai vincoli
preesistenti  e  previsti dalla precedente legge finanziaria: infatti
e'  disposto  che  resta fermo il conseguimento delle economie di cui
all'art. 1 commi 98 e 107 della legge n. 311/2004.
    La disposizione e' incostituzionale.
    L'art. 117,   secondo   comma  della  Costituzione  riserva  alla
potesta' legislativa esclusiva statale la materia dell'ordinamento ed
organizzazione amministrativa unicamente con riferimento allo Stato e
agli  enti  pubblici nazionali; conseguentemente compete alle regioni
disciplinare,  nell'esercizio della potesta' legislativa residuale ex
art. 117,    quarto    comma,   l'organizzazione   amministrativa   e
l'ordinamento  del personale della regione e degli enti regionali. In
tale  materia,  dunque,  la  competenza  legislativa delle regioni e'
piena  e deve svolgersi nel rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti    dall'ordinamento    comunitario    e    dagli   obblighi
internazionali.
    Parimenti  compete alle regioni dettare disposizioni di carattere
ordinamentale  ed  organizzatorio  relative  agli  enti  del servizio
sanitario:  quale  che sia infatti la qualificazione giuridica che si
intenda  attribuire alle aziende ASL, e' comunque certo che le stesse
non   sono   enti  pubblici  nazionali  e  percio'  la  competenza  a
disciplinare    la    relativa    organizzazione   amministrativa   e
l'ordinamento  del  personale  non  e'  statale,  stante  il disposto
dell'art. 117, secondo comma, lett. g) della Costituzione.
    La  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  sussistere  un'ampia
autonomia regionale in materia di ordinamento degli uffici e di stato
giuridico  dei  dipendenti  -  in  cui rientra evidentemente anche la
disciplina  delle  assunzioni  -  gia' sotto il regime del previgente
art. 117  Cost.  (  sentenze  n. 278/1983;  n. 772/1988; n. 277/1983;
n. 10/1980;  ordinanza  n. 515/2002) e percio' tale potesta' sussiste
con  maggior  ampiezza  oggi,  nella vigenza del nuovo titolo V, come
affermato  dalla  Corte  costituzionale  nella sentenza n. 274/2003 e
nella  pronuncia  n. 17/2004, ove e' rilevato che «nell'assetto delle
competenze  costituzionali  configurato dal nuovo titolo V, parte II,
della  Costituzione,  l'autofinanziamento delle funzioni attribuite a
regioni  ed enti locali non costituisce altro che un corollario della
potesta'  legislativa regionale esclusiva in materia di ordinamento e
organizzazione amministrativa...».
    Impedire  alle  regioni  di assumere personale significa incidere
sull'ordinamento  e  sull'organizzazione  della regione stessa. Oltre
tutto,  come  gia'  evidenziato, si assommano vincoli a vincoli: ogni
anno  la  legge  finanziaria pone vincoli ulteriori alla possibilita'
per  le  regioni e gli enti locali di programmare l'uso delle risorse
umane  in  base  agli  obiettivi  da  raggiungere  e alle funzioni da
svolgere.
    Applicare  tutti  i  vincoli  che  si  assommano  significherebbe
procedere  al  licenziamento di personale a tempo indeterminato e non
poter  ricoprire  i posti vacanti nemmeno nei limiti del turn over e,
quindi, delle avvenute cessazioni dei rapporti di lavoro.
    Il  nuovo vincolo introdotto dalla norma impugnata vale anche per
il  settore sanitario (ove l'unica deroga per l'anno 2006 e' prevista
dal  comma  403  per  far fronte alle emergenze sanitarie connesse al
controllo    dell'influenza   aviaria),   con   grave   ripercussione
sull'organizzazione   del  medesimo:  se  e'  vacante  il  posto  del
radiologo,  dell'anestesista,  dell'infermiere,  l'azienda  USL,  per
assicurare   le  prestazioni  ai  cittadini,  dovra'  inevitabilmente
esternalizzare  i  servizi, cioe' farli svolgere da strutture esterne
alle aziende.
    Questo   tuttavia  non  determina  alcun  risparmio,  perche'  e'
evidente  che  il  servizio  esterno  deve comunque essere pagato dal
fondo  sanitario,  mentre  determina una disintegrazione del servizio
sanitario pubblico.
    L'illegittimita'  e' dunque evidente, perche' la regione non puo'
cosi' esercitare il proprio ruolo di programmazione ed organizzazione
del  servizio  sanitario,  in  violazione delle competenze attribuite
dall'art. 117 Cost.
    Ne'  la  norma  puo'  ritenersi legittima per l'invocato concorso
delle  autonomie  regionali  e  locali al rispetto degli obiettivi di
finanza  pubblica.  Infatti  il  legislatore  statale  legittimamente
impone  anche alle Amministrazioni regionali e locali di rispettare i
suddetti  obiettivi,  ma  poi - posto tale principio - deve lasciarsi
spazio all'autonomia degli enti di decidere come attuarlo.
    Non  si  contesta  la previsione del contenimento della spesa, ma
l'individuazione specifica della voce di spesa da contenere.
    L'invasione  dell'autonomia  delle regioni e degli enti locali da
parte   di   norme   come   quella   in  esame  e'  confermata  dalla
giurisprudenza costituzionale, la quale ha rilevato che «le norme che
fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci
delle   regioni  e  degli  enti  locali  non  costituiscono  principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  ai  sensi
dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost., e ledono, pertanto, l'autonomia
finanziaria  di  spesa  garantita dall'art. 119 Cost.» (punto 6.3 del
Considerato in diritto della recente sentenza n. 417/2005).
    Tale pronuncia conferma quanto la Corte costituzionale aveva gia'
affermato nelle precedenti sentenze n. 390 del 2004 e n. 36 del 2004,
ove  si  legge  che  la  legge statale puo' stabilire solo un «limite
complessivo,   che   lascia   agli  enti  stessi  ampia  liberta'  di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa».
    Nello   stesso   senso  nella  recente  sentenza  n. 449/2005  e'
affermato:    «Secondo    quanto    costantemente   affermato   dalla
giurisprudenza  di  questa Corte, la previsione, da parte della legge
statale,  di  limiti  all'entita'  di una singola voce di spesa della
Regione  non  puo'  essere  considerata  un principio fondamentale in
materia  di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della
finanza pubblica (ai sensi dell'art. 117 terzo comma, Cost.), perche'
pone  un  precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si
risolve   percio'  in  una  indebita  invasione  dell'area  riservata
dall'art. 119  Cost.  alle  autonomie  regionali e degli enti locali,
alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad
esempio,  contenimento  della  spesa  pubblica),  ma  non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi (v., ex multis, sentenze n. 417 del 2005 e nn. 390 e 36 del
2004).
    Premesso  che  questa  Corte  e'  chiamata  a scrutinare la norma
censurata  esclusivamente  sotto il profilo del riparto di competenze
legislative,  va  rilevato  che  detta  norma  stabilisce  un vincolo
puntuale di spesa alle regioni, e, pertanto, alla stregua della sopra
richiamata  giurisprudenza  costituzionale,  contrasta  con gli artt.
117,   terzo   comma,   e   119   Cost.   e  deve  essere  dichiarata
costituzionalmente  illegittima,  nella  parte  in  cui si applica al
personale delle regioni».
    Pertanto  limiti  e  vincoli  puntuali a specifiche voci di spesa
delle  Regioni  e  degli  enti  locali  (quale  e'  quella  in  esame
concernente   le   spese  di  personale)  sono  incostituzionali  per
violazione degli artt. 117 e 119 Cost.
    Per  gli  stessi motivi ora esposti appare incostituzionale anche
la   disposizione   contenuta  nel  comma  202  dell'art. 1,  ove  si
stabilisce  che al finanziamento degli oneri contrattuali del biennio
2004-2005  concorrono  le  economie  di spesa di personale riferibili
all'anno  2005,  come  individuate  dall'art. 1, comma 91 della legge
n. 311/2004: anche in tal caso si fissa un vincolo puntuale circa gli
scopi  per  cui utilizzare risorse del bilancio della Regione e degli
enti  locali  del  tutto incompatibile con l'autonomia prevista dagli
artt. 117 e 119 Cost.
    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 280, 281, 286
e 287 per violazione dell'art. 117 e 119 Cost.
    I commi da 275 a 316 riguardano la Sanita'. Nel loro complesso le
disposizioni  sono fortemente lesive dell'autonomia regionale perche'
non  tengono  conto  dei  costi  effettivi  dei livelli essenziali di
assistenza,  non  finanziano  il  fabbisogno  sanitario  e  non danno
copertura   totale   alle   partite   pregresse   relative  al  2004,
consolidando  cosi'  la  sottostima del fondo sanitario nazionale. La
sospensione  del  vigente  meccanismo  del federalismo fiscale per il
periodo  2002-2005, meccanismo che finanzia la sanita', ha comportato
un  minor  esborso a danno delle regioni pari a 12,6 mld di euro. Per
la Regione Toscana cio' ha significato minori introiti per 730 mln di
euro,  un  consistente deterioramento della liquidita' regionale e di
quella  delle  ASL  e  quindi  un aggravio dei tempi di pagamento dei
fornitori.  Il  deficit pregresso, dunque, non e' dipeso, per lo meno
per  la  Regione ricorrente, da una cattiva programmazione e gestione
del  servizio  sanitario,  ma  da  una sottostima del fondo sanitario
nazionale  e  dalla  mancata  attuazione  del federalismo fiscale. In
questo contesto, si impugnano le evidenziate disposizioni.
    Il  comma  280  prevede  che  l'accesso alle risorse previste dal
comma  279  (e  precisamente  2.000  milioni  di euro per il 2006 per
ripiano  dei  disavanzi  di  SSN  per  il  2002,  2003  e  2004)  sia
subordinato  ad  una  serie di condizioni. Tra le piu' pesanti e' che
sia  espressa  l'intesa  sullo  schema  del piano sanitario nazionale
2006-2008;   poi   sono   posti   ulteriori  vincoli  finalizzati  al
contenimento dei tempi di attesa.
    In sostanza si lega la disponibilita' di risorse per la copertura
dei  disavanzi  pregressi  a futuri obblighi, da parte delle regioni,
che non hanno alcun collegamento con la causa dei disavanzi medesimi;
in  pratica  si  prevede  una  sorta  di  «ricatto» alle regioni: per
disporre  dei  fondi  per  ripianare  il deficit - causato, come gia'
rilevato,  non  da  cattiva  gestione,  ma dalla sottostima del fondo
sanitario  nazionale e dall'inattuazione del federalismo fiscale - le
regioni  devono  dare  l'assenso  preventivo  allo  schema  del piano
sanitario  nazionale  2006-2008  e  alle previste misure di riduzione
delle  liste  di  attesa. La previsione inoltre tende a chiudere ogni
rivendicazione  futura  su  eventuali  disavanzi  (sorti  negli  anni
passati per la sottostima del FSN e per assicurare i LEA), dei quali,
dovra', d'ora in poi, farsi carico interamente la regione.
    Tutto cio' determina una violazione delle competenze regionali in
materia  di  tutela della salute, perche', per disporre delle risorse
finanziarie,  la  regione  deve dare il suo assenso a priori a misure
incidenti  sulle  proprie  attribuzioni  in  materia,  con violazione
dell'art. 117 Cost.
    E'  altresi' violato l'art. 119 Cost. perche' la previsione tende
a  chiudere  ogni  rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti
negli  anni passati, dei quali, dovra', d'ora in poi, farsi carico la
regione; inoltre, ove la regione non ritenga di poter dare la propria
intesa  sullo  schema  sullo schema del piano sanitario nazionale per
mancata  condivisione  dei  contenuti, perdera' l'accesso al concorso
finanziario  con  evidente  grave ed ulteriore lesione dell'autonomia
finanziaria regionale.
    Percio'  la  norma viene impugnata perche' non appare conforme al
sistema  costituzionale subordinare l'accesso al fondo per il ripiano
del  deficit  pregresso a futuri obblighi regionali che nulla hanno a
che vedere con la causa del medesimo deficit.
    Per  gli  stessi  motivi ora evidenziati si pone in contrasto con
gli  artt. 117  e 119 Cost. anche il comma 281 il quale correla - per
le regioni che abbiano registrato un disavanzo nel periodo 2001-2005,
come  certificato  dal  tavolo  di  monitoraggio,  superiore  al 5% o
comunque  un  disavanzo nel 2005 pari o superiore al 200% rispetto al
2001 - la possibilita' di accedere al fondo suddetto di 2.000 milioni
di  euro  per  il  disavanzo  sanitario  alla stipula di un ulteriore
accordo  con  lo  Stato  finalizzato  all'adeguamento  rispetto  alle
indicazioni  del piano sanitario nazionale 2006-2008 e all'equilibrio
economico nel rispetto dei LEA. Si tratta di un ulteriore vincolo per
l'accesso al finanziamento, basato su un nuovo accordo, con modalita'
e finalita' diverse da quelli previsti nella legge finanziaria 2005 e
nell'intesa del 23 marzo 2005.
    Il  rispetto  dei diversi adempimenti e delle diverse percentuali
di  disavanzo  posti  nei  vari  provvedimenti  rende impossibile una
programmazione  dell'attivita'  sanitaria  regionale  e,  ancora,  si
subordina la possibilita' di accedere al finanziamento per risanare i
pregressi   deficit   al  rispetto  di  prescrizioni  che  non  hanno
correlazione alcuna con le cause del disavanzo.
    Il  comma  286  dispone  che la cessione a titolo di donazione di
apparecchiature  e  materiali  dismessi  da ASL, aziende ospedaliere,
istituti  di ricoveri e cura e organizzazioni similari sia promossa e
coordinata  dall'Alleanza degli ospedali italiani nel mondo; il comma
287  stabilisce  che  la  suddetta «Alleanza» promuove i contatti per
facilitare   le  donazioni  e  produce  un  rapporto  biennale  sulle
attivita'  svolte,  da  inviare  al  Ministro  della  salute  e  alla
Conferenza dei presidenti delle regioni.
    Tali  disposizioni  impongono  il  ricorso  alla  Alleanza  degli
Ospedali  nel  mondo senza tener conto e fare salve le strutture gia'
attivate per lo stesso fine dalle regioni, con lesione delle relative
attribuzioni  in  materia  di  tutela  della  salute  e,  quindi,  in
violazione dell'art. 117 Cost.
    5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  291, per
violazione dell'art, 117 Cost.
    La  norma  prevede  che con decreto del Ministro della salute, di
concerto  con  il Ministro dell'economia e d'intesa con la Conferenza
Stato-regioni,   sono   definiti   i   criteri   e  le  modalita'  di
certificazione  dei  bilanci  delle  ASL,  delle aziende ospedaliere,
degli  istituti  di  ricovero e cura, degli istituti zooprofilattici,
delle aziende ospedaliere universitarie.
    La  Regione  Toscana  gia' da tempo ha avviato un progetto per la
certificazione  dei  bilanci delle aziende, che impone la rispondenza
dei  dati  contabili  alle  operazioni  effettivamente  svolte  dalle
aziende  stesse, nel rispetto delle regole e dei principi fissati dai
dottori  e ragionieri commercialisti. Per tale fine e' essenziale una
buona struttura del sistema di controllo interno degli enti, in grado
di assicurare correttezza, efficacia, trasparenza dei dati.
    Stabilire  tali criteri e modalita' di certificazione dei bilanci
delle  aziende  sanitarie,  degli enti ed organismi regionali rientra
nell'organizzazione  del  sistema  sanitario  e  regionale e, quindi,
dovrebbe costituire oggetto di disciplina regionale, nel rispetto dei
principi determinati dallo Stato, ai sensi dell'art. 117 Cost.
    La  norma  impugnata  non  rispetta  tale  competenza:  di qui la
denunciata illegittimita'.
    Inoltre   e'   incostituzionale   l'attribuzione   ad   un   atto
regolamentare   della   competenza   in   oggetto,   per   violazione
dell'art. 117  sesto  comma  Cost.,  posto che il regolamento statale
puo'  intervenire  solo  nelle  materie di competenza esclusiva dello
Stato,  il  che  non  ricorre  nel  caso in esame, per i motivi sopra
esposti.
    6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  322, per
violazione dell'art. 119, Cost.
    Le  disposizioni  contenute  nei  commi  319  e  320 sbloccano le
risorse   finanziarie   dovute   alle  Regioni  in  base  al  decreto
legislativo n. 56 del 2000.
    Tuttavia   la   norma   impugnata  contenuta  nel  comma  322  e'
incostituzionale  per  violazione  dell'art. 119  Cost.: essa infatti
dispone  che  le risorse dovute alle regioni ai sensi dei commi 319 e
320  sono corrisposte secondo un piano graduale, definito entro il 31
marzo  2006,  con  decreto  del  Ministero  dell'economia, sentita la
Conferenza Stato-regioni.
    Le  regioni  hanno  gia'  subito  aggravi  di costi e difficolta'
operative  per  il  ritardo nell'erogazione delle somme che avrebbero
dovuto  ricevere  negli  anni  2002,  2003,  2004  e 2005, per cui il
principio  ora  introdotto  di gradualita' penalizza ancora i bilanci
regionali.
    Pertanto   la   disposizione  e'  costituzionalmente  illegittima
perche' le risorse di cui al decreto legislativo n. 56/2000, che sono
state  bloccate  sino  ad  ora, dovrebbero essere ormai erogate senza
ulteriori  condizioni  limitative  e  dilatorie,  pena altrimenti una
eccessiva  lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  garantita
dall'art. 119 Cost.
    7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 366 e 369 per
violazione degli artt 117 e 118 Cost.
    La  norma  prevede  che  con decreto del Ministro dell'economia e
delle   finanze,   di   concerto  con  il  Ministro  delle  attivita'
produttive, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, con
il  Ministro  dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con
il  Ministro  per  l'innovazione  e  le  tecnologie, sono definite le
caratteristiche  e  le  modalita'  di  individuazione  dei  distretti
produttivi, quali libere aggregazioni di imprese articolate sul piano
territoriale e sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo
sviluppo  delle  aree  e  dei  settori  di riferimento, di migliorare
l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione, secondo principi
di   sussidiarieta'   verticale   ed   orizzontale.   Vengono  quindi
individuate  le  disposizioni applicabili ai distretti produttivi, di
natura  fiscale,  amministrativa,  finanziaria,  per  la ricerca e lo
sviluppo;  e'  poi  stabilito  che  le  norme in favore dei distretti
produttivi di cui al comma 366 si applicano anche ai distretti rurali
e  agro-alimentari,  ai  sistemi  produttivi,  ai  sistemi produttivi
locali,   ai   distretti  industriali  ed  ai  consorzi  di  sviluppo
industriale.
    Dunque   le   disposizioni  impugnate  attribuiscono  al  decreto
ministeriale il compito di definire le caratteristiche e le modalita'
di  individuazione  dei  distretti  (industriali, produttivi, rurali,
agro-alimentari,  dei  sistemi  produttivi,  dei  sistemi  produttivi
locali,  dei  consorzi  di  sviluppo  industriale):  cio'  non appare
conforme al modello costituzionale.
    Infatti  i  distretti e tutte le suddette aggregazioni operano in
materie di sicura competenza residuale regionale (commercio, sviluppo
economico,  industria):  pertanto  stabilire  le caratteristiche e le
modalita'  di  individuazione  dei distretti e' competenza regionale,
nel  rispetto  degli  artt. 117  e  118  Cost. La regione ricorrente,
infatti,  ha  provveduto  all'individuazione e all'organizzazione dei
distretti   e   dei   sistemi  produttivi  locali  con  deliberazione
consiliare  21 febbraio  2000,  n. 69  ed  ha  gia' svolto molteplici
interventi  a  favore del sistema produttivo regionale per rafforzare
la competitivita' dei contesti territoriali locali.
    Le  impugnate  disposizioni attribuiscono invece le competenze di
definizione delle caratteristiche e delle modalita' di individuazione
dei distretti, peraltro gia' esercitate dalle regioni, allo Stato, in
violazione dell'art. 117 Cost.
    Ma  le impugnate norme sono incostituzionali anche per violazione
dell'art. 118 Cost. sia perche' non sussistono, ne' sono espresse, le
ragioni    che   giustificherebbero   l'attrazione   delle   funzioni
amministrative  in oggetto in capo allo Stato, sia perche', comunque,
non   e'   prevista   l'intesa   con  le  Amministrazioni  regionali.
Quest'ultima  costituisce,  invece,  il  presupposto legittimante per
l'attrazione  in  capo allo Stato della competenza amministrativa, in
applicazione  del principio di sussidiarieta', secondo i criteri piu'
volte  affermati  da  codesta ecc.ma Corte costituzionale (n. 303 del
2003  e  n. 6  del  2004),  posto che si verte in ambiti materiali di
competenza delle regioni.
    Le   norme   impugnate,   al   contrario,  non  prevedono  alcuna
concertazione   tra   lo   Stato   e   le  regioni,  con  conseguente
illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 118 Cost.
    Inoltre  il  comma  366 e' incostituzionale anche perche' prevede
una  fonte regolamentare statale per definire le caratteristiche e le
modalita'    di   individuazione   dei   distretti,   in   violazione
dell'art. 117,  sesto  comma  Cost.,  il  quale  non  ammette  che il
regolamento  statale  intervenga  in  ambiti  materiali non riservati
all'esclusiva competenza statale.
    Nel  caso  in  esame si verte, per i motivi sopra esposti, in una
materia non attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, Cost.
    7)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1, commi 483, 486 e
491 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    I  commi  da  483  a  491 dettano norme relative alle concessioni
idroelettriche,   modificando   alcune   disposizioni   del   decreto
legislativo  6  marzo  1999,  n. 79.  Le  norme  non prevedono alcuna
competenza regionale; anzi la competenza statale e' sancita dal comma
491  con  riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost. e
con  il  richiamo  all'attuazione  dei  principi  comunitari resi nel
parere  della  Commissione europea in data 4 gennaio 2004 (in realta'
si   tratta   del  parere  del  7  gennaio  2004  ove  sono  ritenute
contrastanti  con  la liberta' di stabilimento le norme relative alle
concessioni  di produzione idroelettrica che accordano una preferenza
ai concessionari uscenti).
    Si  contesta,  innanzitutto,  la disposizione contenuta nel comma
491: la disciplina in esame concernente le concessioni idroelettriche
non   attiene   infatti   solo  alla  tutela  della  concorrenza,  ma
interferisce  con  le  competenza regionali relative alla produzione,
trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia,  di  competenza
concorrente   Stato-Regioni,   nonche'   al  demanio  idrico  e  alla
pianificazione  riguardante  il corretto uso delle acque pubbliche di
competenza  regionale,  ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost., in
relazione   alle   materie   del   governo  del  territorio  e  della
valorizzazione dei beni culturali ed ambientali.
    A tale proposito la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che
«1'art. 86  del  d.lgs.  n. 112  del 1998, in attuazione della delega
contenuta  nella legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento  di  funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per
la  riforma  della  pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa),  ha conferito alle regioni competenti per territorio
l'intera  gestione del demanio idrico, e il successivo art. 88 ha poi
specficato   che   detta   gestione   comprende   tutte  le  funzioni
amministrative  relative  alle  derivazioni  di  acqua pubblica, alla
ricerca,  estrazione  e  utilizzazione  delle acque sotterranee, alla
tutela  del  sistema  idrico sotterraneo, nonche' alla determinazione
dei  canoni  di  concessione  e  all'introito  dei  relativi proventi
successivamente,  con  decreto  legislativo  16  marzo 1999, n. 79 e'
stata  data  attuazione  alla  direttiva  96/1992/CE e si e' pertanto
realizzata  la  condizione  cui l'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 112
del 1998 subordinava il trasferimento delle competenze alle regioni.
    Con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri del 12
ottobre  2000  (Individuazione  dei beni e delle risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli
enti   locali   per   l'esercizio   delle   funzioni  e  dei  compiti
amministrativi  in  materia  di  demanio  idrico),  adottato ai sensi
dell'art. 7  della  legge  n. 59  del 1997, si e' infine provveduto a
dare definitiva attuazione al disegno prefigurato dai legislatore del
1997,  prevedendosi il trasferimento alle regioni, a decorrere dal 1°
gennaio  2001,  del  personale,  dei mezzi strumentali e di tutti gli
atti relativi agli affari pendenti in materia di denivazioni di acque
pubbliche» (sentenza n. 133/2005).
    La tutela della concorrenza, com'e' noto, costituisce una materia
trasversale  e  pertanto  l'attribuzione  allo  Stato  della relativa
competenza   non  elimina  -  come  invece  afferma  la  norma  -  le
attribuzioni  delle  Regioni  nelle specifiche materie in cui e' loro
riconosciuta potesta' legislativa.
    Percio'  l'affermazione  di  cui  all'impugnato  comma  491,  non
tenendo  in  considerazione le citate competenze regionali, viola gli
artt. 117 e 118 Cost.
    Inoltre  il  richiamo  al  citato parere del 7 gennaio 2004 della
Commissione  europea e' pretestuoso: come rilevato in detto parere la
Commissione  censura  le norme che accordano diritti di preferenza ai
vecchi  concessionari,  imponendo  cosi'  il ricorso ad una effettiva
apertura  del  mercato. Per rispettare tale parere comunitario non e'
legittimo  espropriare le regioni delle loro competenze; l'attuazione
del  medesimo  ben  puo' essere garantita con una normativa che detti
principi  cui  poi  le regioni si attengono nell'esercizio delle loro
potesta' legislative.
    Dalla    suddetta   illegittimita'   del   comma   491   discende
l'incostituzionalita'  delle  disposizioni  contenute nei commi 483 e
486.
    Il  comma  483  viene  impugnato  nella parte in cui, modificando
l'art. 12  del  decreto  legislativo  n. 79/1999,  stabilisce che con
provvedimento  del  Ministro  delle attivita' produttive, di concerto
con  il  Ministro  dell'ambiente  e  della tutela del territorio sono
determinati   i   requisiti  organizzativi  e  finanziari  minimi,  i
parametri di aumento dell'energia prodotta e della potenza installata
concernenti la procedura di gara.
    Per  l'interferenza  della  disciplina  con  ambiti  materiali di
competenza  regionale  riguardanti, come rilevato, il demanio idrico,
la   corretta   programmazione  e  gestione  delle  acque  pubbliche,
l'energia,  il  provvedimento  ministeriale  qui  previsto,  volto  a
disciplinare  i  requisiti  organizzativi  e  finanziari per la gara,
dovrebbe  essere  adottato  d'intesa con la Conferenza Stato-regioni,
invece del tutto omessa dall'impugnata disposizione.
    In   tale   senso,   nella   sentenza   n. 383/2005,   la   Corte
costituzionale  ha  affermato  che l'esercizio di funzioni allocate a
livello  statale  per  esigenze di sussidiarieta' nella materia della
produzione,  trasporto  e  distribuzione  dell'energia,  deve  essere
ricondotto  a  moduli  collaborativi  con  il sistema delle autonomie
territoriali  nella  forma  dell'intesa in senso forte fra gli organi
statali   e   la   Conferenza  unificata,  stante  la  connessione  e
l'incidenza  dei  poteri statali con molteplici materie di competenza
legislativa concorrente.
    La  mancata  previsione  dell'intesa nelle impugnate disposizioni
determina la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Il  comma  486  prevede un canone aggiuntivo unico di concessione
che   viene   incamerato  dallo  Stato  e  dai  comuni  nella  misura
rispettivamente  di  50  milioni  di euro per anno e di 10 milioni di
euro per anno.
    Anche  tale disposizione contrasta con gli artt. 117 e 118 Cost.:
poiche'  le  concessioni  di derivazione idroelettrica interferiscono
con   l'esercizio   di  competenze  regionali  attinenti,  come  gia'
rilevato,  al demanio idrico, alla corretta programmazione e gestione
delle  acque  pubbliche  e  all'energia,  la  regione dovrebbe essere
coinvolta   nel   procedimento  di  determinazione,  incameramento  e
determinazione  dell'utilizzo  del  canone  di concessione aggiuntivo
introdotto dalla norma.
    9)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  commi 597, 598,
599, 600 per violazione dell'art. 117 Cost.
    Il comma 597 dispone che con decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  emanato  previo  accordo  tra Governo e regioni, sono
semplificate  le  norme  in  materia di alienazione degli immobili di
proprieta'  degli  Istituti  autonomi  per  le case popolari comunque
denominati  e  cio'  al  fine  della  valorizzazione  degli  immobili
costituenti il patrimonio degli istituti medesimi.
    Il  successivo  comma  598 elenca gli obiettivi che devono essere
garantiti  dai  principi fissati dall'accordo tra Governo e regioni e
regolati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
    Il   comma  599  stabilisce  che  agli  immobili  degli  istituti
proprietari  che  ne  facciano  richiesta  attraverso  le  regioni si
applicano  le  disposizioni  di  cui  al  decreto  legge  n. 351/2001
convertito  in  legge  n. 410/2001 riguardanti la privatizzazione del
patrimonio immobiliare pubblico.
    Il  comma 600 prevede la facolta' per gli istituti proprietari di
affidare   a  societa'  specializzate  la  gestione  delle  attivita'
necessarie  al  censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei
singoli beni.
    Tutte   le   suddette  disposizioni  intervengono  nella  materia
dell'edilizia   residenziale   pubblica   e,  quindi,  in  un  ambito
attribuito   alla   competenza   residuale  delle  regioni  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma Cost.
    Gia'  prima  della riforma del Titolo V della parte seconda della
Costituzione  la giurisprudenza costituzionale aveva rilevato che «la
materia   dell'edilizia   residenziale   pubblica  e'  devoluta  alla
competenza  legislativa  regionale,  ai  sensi  dell'art. 117,  primo
comma,  Cost.;  in  tale  materia  confluiscono attribuzioni inerenti
all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale (sentenza
n. 16  del  1992). La normativa interposta del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616,  sul  presupposto  della  competenza  regionale, riserva allo
Stato  la  sola  determinazione  dei  criteri  di  assegnazione degli
alloggi  (art. 88,  n. 13),  conferendo  alle  regioni ampi poteri di
programmazione  e  di  gestione  degli  interventi pubblici (art. 93,
primo comma), nonche' l'organizzazione del servizio, da esercitare in
conformita'  dei  principi  stabiliti  dalla  legge  di riforma delle
autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn. 1115 e 727 del 1988).
Una  volta  devoluti  alle  regioni  i  poteri  di gestire i fondi in
materia  di  edilizia  residenziale,  spetta  all'autonomia  di  esse
destinarli, nel loro oggetto e modalita', senza vincoli imposti dallo
Stato.» (Corte cost. sentenza n. 393/1992).
    Piu'  recentemente  la  Corte costituzionale ha rilevato: «Questa
Corte (con la sentenza n. 27 del 1996) ha gia' qualificato l'edilizia
residenziale   pubblica  «nuova  materia  di  competenza  regionale»,
precisando  che  essa ricomprende la disciplina della predisposizione
di  interventi  pubblici  di varia natura comunque diretti al fine di
provvedere al servizio sociale della provvista degli alloggi a favore
dei  lavoratori  e  delle  famiglie  meno  abbienti.  Da ultimo, poi,
l'art. 60  del d.lgs. n. 112 del 1998 ha conferito alle regioni tutte
le  funzioni  amministrative  relative alla gestione e all'attuazione
degli  interventi  in  materia  di  edilizia  residenziale  pubblica»
(sentenza 352/2001).
    Dunque  la materia dell' edilizia residenziale pubblica, e' stata
attribuita  alle  Regioni  prima dagli artt. 93 e seguenti del d.P.R.
n. 616 del 1977 e poi dall'art. 60 del decreto legislativo n. 112 del
1998,   che   ha  ampliato  la  sfera  delle  attribuzioni  regionali
includendovi  anche  la  gestione  e  l'attuazione  degli interventi,
nonche'  la fissazione dei criteri per l'assegnazione degli alloggi e
la  determinazione  dei  canoni; in tale contesto anche la disciplina
degli  Istituti  autonomi  per le case popolari (poi trasferiti nelle
aziende  di  edilizia residenziale pubblica) e' stata attribuita alle
regioni.
    La  riforma  dell'art. 117  Cost.  ha  confermato  la  competenza
regionale, in quanto l'edilizia residenziale pubblica non e' compresa
tra  le  funzioni  statali  ne'  in  quelle  soggette  a legislazione
concorrente, rientrando pertanto nella competenza residuale regionale
ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost.
    Da cio' deriva che non spetta allo Stato, ma alle regioni dettare
norme  per  disciplinare le procedure semplificate per la dismissione
dei  beni di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari,
comunque denominati.
    Vero  che nella procedura impugnata e' previsto un accordo tra lo
Stato  e  le regioni, ma nelle materie di cui agli artt. 117, terzo e
quarto  comma, Cost. e' la fonte legislativa regionale legittimata ad
intervenire  con  la  disciplina  compiuta,  senza che a questa possa
sostituirsi  un  decreto  statale, nemmeno se preceduto da un accordo
con le regioni.
    Di qui la eccepita violazione dell'art. 117 Cost.